6. Il Rinascimento

La prima testimonianza scritta sull’esistenza del plique-à-jour risale ad un inventario di Papa Bonifacio VIII nel 1295 dove è chiamato smalta clara. Tuttavia, il primo esempio pervenutoci di smalto a giorno è la Coppa di Mérode: un bicchiere con coperchio, interamente in argento dorato (vermeil) finemente decorato e realizzato verso il 1400 in Borgogna. L’oggetto prende il nome dall’antica casata belga di Mérode cui apparteneva in origine. La Coppa è fra più antichi oggetti realizzati con la tecnica dello smalto a giorno, nonché l’unico sopravvissuto da questo periodo. Le decorazioni sulle finestrelle sono già in stile gotico. 

La Coppa di Mérode, argento dorato "vermeil" con smalti plique-à-jour, prodotto in Borgogna verso il 1400.

Fra il 1380 e il 1420, si iniziano a sperimentare nuove forme di decorazione a smalto più “coraggiose” rispetto alle tecniche precedenti. In particolare questo è il momento in cui compare lo smalto a tutto tondo (ronde bosse) che viene sviluppata soprattutto a Parigi. Un possibile motivo è che, in seguito alla Guerra dei Cent’Anni (1337-1453) e in particolare al Massacro di Limoges (19 settembre 1370) la scuola limosina entra in decadenza, mentre alcuni dei suoi orafi trovano rifugio a Parigi sotto il mecenate Giovanni di Valois, Duca di Berry. È a quest’epoca che risalgono i più antichi ronde bosse conosciuti: il Reliquiario della Santa Spina (1380-1387 circa), realizzato su commissione del duca di Berry per contenere un frammento della presunta Corona di Spine di Gesù e alta poco più di 30 centimetri; il Cavallino d’Oro di Carlo VI, realizzato come ex voto per il Capodanno 1405 e alto ben 62 cm; e la Tavola della Trinità, alta 44,5 cm e anch’essa un ex voto, realizzata per il Capodanno 1412 e prodotta su commissione della regina d’Inghilterra Giovanna di Navarra, forse da orafi francesi. A questi si aggiunga il meraviglioso Reliquiario di Montalto,  opera attribuita all'orafo parigino Jean du Vivier. Elemento comune di questi primi ronde bosse è l’uso dello smalto bianco al piombo, di recente invenzione e alquanto di moda all’epoca. Oltre al bianco troviamo altri smalti verdi, rossi, neri e blu.

I tre primi “ronde bosse”: A sinistra, il Reliquiario della Santa Spina, 1380 circa, British Museum (Londra, Regno Unito); al centro, il Cavallino d’Oro, 1404, Basiica di Sant’Anna (Altötting, Germania); a destra, la Tavola della Trinità, 1411, Museo del Louvre (Parigi, Francia).

Le più antiche prove documentali sull’esistenza di smalti cechi o moravi risalgono al regno della Casata di Lussemburgo. Si può dire che in generale l’uso dello smalto nel periodo gotico era limitato a pochi oggetti e solo come complemento alle pietre preziose, che rimanevano l’elemento decorativo principale.

Durante il regno di Carlo IV di Lussemburgo, il primo Re di Boemia a tenere anche il titolo di Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1355 al 1378, si assistette ad un boom culturale che portò ad una forte crescita delle arti, soprattutto architettura e oreficeria, come parte dei lavori di espansione nella capitale Praga. Ad esempio, troviamo degli smalti decorativi anche sugli oggetti dell’atelier di Petr Parléř, artista d’origine tedesca ma operativo a Praga.

Notevole anche il reliquiario della famiglia Kolovrat, prodotto intorno al 1460-1470 dall’orafo Martin di Hradčan, il cui stile dimostra l‘origine ungherese dell’artista.

Un importante manufatto del periodo tardo-gotico con piccole decorazioni in smalto verde e blu è la cintura che la tradizione associa alla Regina Elisabetta, quarta moglie di Carlo IV, in realtà un’opera della seconda metà del XV secolo.

L’Italia del Nord passa dal “champlevé ” alla “pittura su smalto”. Gli smaltatori Veneti e Lombardi si distinguono per la produzione di calici, piatti, brocche verso la metà del XV in concorrenza con Limoges. Il passaggio allo smalto dipinto (émail peint) si può ritenere contemporaneo in Italia e in Francia. J. Fouquet, di cui si conserva al Louvre il primo ritratto in smalto dipinto, lo apprende in Italia un anno prima, dal Filarete, nel 1454.

Da questo momento in poi, la smaltatura inizia a diventare arte vera e propria: si abbandonano le figure piatte e stilizzate cloisonné e champlevé e si comincia a vedere la profondità del disegno. Anche i colori lentamente si avvicinano a quelli dei quadri ad olio su tela. Le luminosità rimangono e migliorano ancora di più con le trasparenze su sottili lamine d’oro o d’argento. Verso la fine del Quattrocento le opere dello “Pseudo-Monvaerni” (nome ricostruito a partire dalla sua firma MONVAERNI) vengono eseguite senza l’uso di tramezzi o incisioni nel metallo.

Autoritratto di Jean Fouquet, considerato il primo -email peint-, oggi al Louvre di Parigi

Opera dello Pseudo-Monvaerni, 12x16 cm, fine XV secolo.

La prima opera considerata pienamente émail peint è una Crocifissione datata al 1° aprile 1503 realizzata da Nardon Pénicaud (1470-1542), capostipite di una famosa famiglia di smaltatori. L’opera fu commissionata da Renato II, duca di Lorena (1451-1508), oggi conservata al Museo di Cluny. Il francese Léonard Limosin (1505-1577) fu il primo a essere riconosciuto come artista-pittore e valletto del re. Di lui si conserva un’opera pittorica al "Musée de l’Evêché" di Limoges, L’Incredulità di San Tommaso. Limosin fu ammesso alla scuola del Fontainebleau e fu il solo in grado di eseguire centinaia di ritratti e scene mitologiche in rame smaltato disegnandosi da solo i bozzetti.

La tecnica Grisaille (detta anche Cammeo) appare intorno al 1530: su un substrato di rame si cuoce uno smalto scuro, sopra al quale si applicano figure in smalto bianco lavorato prima a crudo, si finisce quindi con diversi strati cotti che danno un leggero rilievo. Le migliori realizzazioni sono sempre a tecnica mista, (Traslucido, Grisaille, e Dipinto) in leggero rilievo, con fregi in oro e l'incarnato dei volti in rosa. Questa tecnica porterà nel tempo, soprattutto a Limoges, alla vera e propria pittura su smalto. I migliori smaltatori si cimenteranno in tutte le tecniche. Pierre Courteys, Pierre Raymond, Nouailher, Jacques Laudin, Susanne Court, Le officine di famiglia continueranno ad eseguire innumerevoli smalti di pregio. Non mancano artisti anonimi come il cosiddetto “Maitre de l’Eneide”.

Crocifissione, Nardon Pénicaud, 1503.

Due esempi di émail peint.

A sinistra, Mater Rosis di Jean Court, 1564; a destra, Battaglia romana di Pierre Courteys, 1572. Museo ArTchivio.

In Italia, uno dei nomi più significativi del Rinascimento è quello dello scultore e orafo Benvenuto Cellini, esponente del manierismo. La sua opera più celebre è la Saliera di Francesco I di Francia, esempio di ronde bosse su oro.

Cellini è anche autore dei Trattati dell'Oreficeria e della Scultura, dove tra l'altro dedica una sezione ad una descrizione molto accurata del procedimento di realizzazione degli smalti, che dimostrano come la tecnica sia rimasta sostanzialmente invariata in questi cinque secoli:

"Pestasi lo smalto in una bacinella di grandezza quanto sia un palmo, la quale vuole essere tonda, e si fa di bonissimo acciaro temperato et in detta bacinella si mette lo smalto che si ha da pestare, insieme con l'acqua nettissima e con martello di acciaro fatto a posta, il quale vuole essere di una ragionevol grandezza.

È sono stati alcuni che hanno pesti gli smalti in su le pietre di porfido o di serpentino, le quali pietre son durissime, e ve li pestavano su asciutti; imperò gli è molto meglio il pestarli in detta bacinella, si debbe scolare quell' acqua in che e' sono pesti, e subito si deono metter in molle in tant' acqua forte quanta gli ricuopra a punto in un vasellino di vetro, e così si lascino stare per spazio di un ottavo d'ora.E fatto questo, poi gli si e detti smalti, et in una ampolletta di vetro con molt' acqua chiara e fresca bisogna lavarli molto bene, acciò che e' non vi resti nessuna bruttura.

Sappi che quel l'acqua forte li purga da ogni lordura di untume, e l'acqua fresca li purga dalla terra. E lavati che e' saranno lo brutt unt con le dette diligenze, e si debbono tenere ciascuno in nel suo vasellino di vetro o di terra invetriata, e bisogna avere avvertenzia di tenerli in modo che l'acqua non si rasciugassi, perchè subito e'sarebbono guasti, mettendovi su acqua nuova.

Ora intendimi bene, volendo che i tua smalti venghino begli, bisogna pigliare un pezzo di per carta nettissima, e la detta si costuma di masticarla a chi ha i denti, la qual cosa non potrei fare io che non ho!"

Saliera di Francesco I di Francia, Benvenuto Cellini, ronde bosse su oro, 1545.

I più antichi cloisonné cinesi della Dinastia Ming sono stati prodotti sotto il regno dell’Imperatore Xuande (1426-1435), in particolare bottiglie, piatti, ciotole, bracieri, incensieri e treppiedi. La tecnologia del cloisonné continuò a svilupparsi ed innovarsi nei secoli. Pertanto, giunti al regno dell’Imperatore Jingtai (1449-1457), il cloisonné cinese aveva raggiunto il suo apogeo, con un altissimo livello di maestria e una vasta produzione di vasi per fiori, catini, lampade, contenitori per il vino, candelabri, ecc, soprattutto dalla manifattura imperiale della capitale Pechino (Beijing). È sempre in questo periodo che il cloisonné cinese ha ricevuto il nome di Blu di Jingtai. Secondo alcuni collezionisti ed esperti di cloisonné antico, il cloisonné del periodo Jingtai è il migliore e il più collezionabile. La preponderanza del colore blu fu forse influenzata dal caratteristico stile del minakari islamico.